Lo diceva il nome stesso, “mal-aria”, le esalazioni pestifere che emanava la palude! Questa si credeva fosse la causa della malattia, prima della scoperta del plasmodio della zanzara anofele. Chinino e bonifica hanno debellato questo flagello.
La parola maremma nasce con la m minuscola che sta per indicare una regione paludosa vicino al mare, dove dune e tomboli impediscono ai corsi d'acqua di sfociare liberamente col risultato di creare acquitrini e paludi. Siccome la maremma più vasta d'Italia, quella più vasta e imperversata dalla malaria, era la zona costiera della Toscana meridionale e del Lazio occidentale, decisero di dare la M maiuscola a questa regione.
I terreni, spesso interessati dalla presenza di aree paludose non bonificate, venivano utilizzati per le colture tradizionali. I proprietari che spesso risiedevano nelle città o nei maggiori centri, reclutavano contadini affinché lavorassero la terra, sottopagandoli e spesso costringendoli ad una vita di stenti, fatta di fatica, fame e pessime condizioni di vita, in particolar modo durante la stagione estiva.
La storia della Maremma è legata alla lotta per la sopravvivenza. Qui per secoli hanno fatto da padrone la malaria e la legge del più forte.
Contadini, pastori, bracconieri, briganti, taglialegna, carbonai e butteri: protagonisti della “Maremma amara” che la cultura popolare ha tradotto in una canzone, triste, lenta, come lento fu il progresso sociale di questa zona della penisola.
Tutti mi dicon Maremma, Maremma.
ma a me mi pare una Maremma amara
l'uccello che ci va perde la penna
io c'ho perduto una persona cara.
Sempre mi piange il cor quando ci vai
perché ho timore che non torni mai
In Maremma si moriva infatti. Di malaria.
La canzone popolare è della prima metà dell'ottocento. Nel 1828 il Granduca Leopoldo II di Lorena inizò la bonifica della pianura grossetana per liberare il territorio dalla palude.
La più diffusa teoria degli esperti di allora sulle cause della “mal-aria” erano le esalazioni pestifere che emanava la palude. Lo stesso Granduca, recatosi in Maremma affermò:
“Non vi è cosa più certa, nella fisica e nella medicina, che le acque stagnanti infettano l’aria ed insidiano alla vita degli umani individui”.
Nel 1862 circa il 40% della popolazione grossetana era affetta da malaria.
Soltanto verso la fine dell'800 si scoprì che la malaria era trasmessa dalla zanzara anofele.
Per prevenire la malaria, fin da XIV secolo, venne praticata l'estatura. Era un'emigrazione di buona parte della popolazione che interessava i mesi più caldi dell'estate. A giugno anche gli uffici pubblici si trasferivano a Scansano (il paese dell'aria buona). Grosseto durante l'estatura restava vuota e disabitata, fino a ottobre, quando gli abitanti tornavano in città. L'estatura venne soppressa solo nel 1897.
Ma per debellare definitivamente la malaria bisognerà aspettare la bonifica degli anni '50.
Ma cos'è la malaria?
La malaria è una malattia infettiva causata dal parassita Plasmodium. Il vettore principale per la trasmissione di questo parassita è la femmina infetta di zanzara appartenente al genere Anopheles. La malattia può quindi essere trasmessa dalla puntura della zanzara solo dopo che la stessa sia venuta a contatto con un soggetto affetto da malaria.
Prima che l’Anofele diventi infettante, il plasmodio deve compiere un ciclo di sviluppo all’interno della zanzara stessa, che può durare da qualche giorno a qualche settimana.
Quando il parassita entra nell’organismo, raggiunge le cellule del fegato per via sanguigna. Segue un periodo d’incubazione di 7-30 giorni, dopo il quale il parassita entra nei globuli rossi del malato. Quindi, si moltiplica all’interno dei globuli rossi dando luogo a nuove generazioni di parassiti ogni 3 (terzana) o 4 (quartana) giorni, determinandone la rottura entro 48-72 ore e portando alla manifestazione dei sintomi malarici.
I sintomi della malaria appaiono da 7 a 14 giorni dopo la puntura da parte della zanzara infetta e sono di varia natura, mal di testa, vomito, diarrea (sudorazioni e tremori, ecc), comuni, almeno inizialmente, a quelli un’ influenza o ad altre infezioni, ma comunque sempre accompagnati da febbre elevata. Gli accessi febbrili si presentano ciclicamente seguendo il ciclo stesso di riproduzione e moltiplicazione del parassita.
Il farmaco che ha debellato la malattia è stato il chinino.
Il chinino dello stato
Il chinino venne estratto dalla corteccia dell'albero della china e fu isolato e così chiamato nel 1817 dai ricercatori francesi Pierre Joseph Pelletier e Joseph Bienaimé Caventou. Il nome deriva dalla parola originale quechua (Inca) usata per la corteccia dell'albero cinchona, o "Quina".
La prima apparizione in Italia data 1612, mentre un secolo più tardi Federico Tort ne avrebbe descritto e di fatto avviato l'uso medico-terapeutico nel 1906.
Il chinino è, ad oggi, lo strumento più efficace contro la malaria dato che debella velocemente il parassita e determina lo sfebbramento.
La Società per gli studi della malaria si batté perché lo Stato si impegnasse a rendere disponibile in modo capillare il chinino, come operazione senza scopo di lucro e costituì una delle pochissime forme di intervento dello Stato a favore delle classi umili.
La legge sul Chinino di Stato fu approvata il 4 luglio 1895 grazie all'iniziativa parlamentare di Federico Garlanda. A Leone Wollemborg si deve la legge "Provvedimenti per agevolare lo smercio del chinino" del 23 dicembre 1900. Grazie a questi provvedimenti la mortalità a causa della malaria calò drasticamente, passando da circa 16000 vittime nel 1895 a 7838 decessi nel 1905.
Circa sessanta anni fa si registravano in Maremma gli ultimi casi di malaria, mentre nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava l’Italia zona indenne dal pericolo della comparsa di focolai di malaria.